FotoAereaLabirinto_Email-w855h425@2x

di Franco Petti

Vicino a Padova, un´oasi costruita dentro una villa padronale Tra simboli, giochi d´acqua e piante, i segreti dei Neoplatonici. C´è un labirinto che si colloca all´interno di una tradizione plurisecolare Il primo progetto fu degli inizi del Seicento: risponde a una precisa geometria d´insieme. La villa fu edificata verso la metà del XVII secolo per la famiglia del senatore veneziano Zuane Francesco Barbarigo. Qui dimorò a lungo anche il vescovo di Padova Gregorio Barbarigo che fu l’ispiratore della complessa simbologia del parco che copre oltre 150.000 mq: giochi d’acqua, cascate, peschiere si alternano a statue (opera del Merengo) e piante secolari.
Di particolare rilevanza il labirinto antico di bosso, che si sviluppa per oltre 1500 mt lineari, e l’ingresso monumentale detto “Arco di Diana”. La Villa è ora di proprietà della famiglia Pizzoni Ardemani, che ha provveduto a ristrutturare il complesso, rendendo visitabile il parco.

Non potevo trovare orario e giorno meno indicati per visitare il giardino seicentesco di Valsanzibio: considerato, e a ragione, tra i più belli e meglio conservati dell´intero continente. La pianura padana sta regalando una di quelle giornate estive di caldo immoto, che niente e nessuno, neanche il fittissimo verde da cui sono circondato, riesce a muovere e scalfire. In aggiunta, follia nella follia, ho pensato bene di arrivare qui nel primo pomeriggio: così i miei unici compagni d´avventura sono tre frati di un vicino convento, che con le loro vesti bianche compaiono e scompaiono tra peschiere e scherzi d´acqua, fontane e laghetti, monumentali spalliere di bosso e bellissime magnolie, donando all´intera scena un imprevisto tocco metafisico.
Che poi, a pensarci bene, tanto imprevisto non è. Perché questo concentrato di bellezza naturale, concepita e governata dall´uomo, racchiude anche un significato simbolico di salvazione e trascendenza, di cui tra breve proverò a dire qualcosa. Il giardino, immerso nel cuore dei colli Euganei, si situa nell´antica valle da pesca di Sant´Eusebio, e difatti al portale d´accesso ormeggiavano le barche dei nobili giunti in visita. Nel corso dei secoli, del resto, tutta la valle e le colline circostanti vantano frequentatori e abitanti di altissimo nome e altissimo lignaggio.
Arquà, dove aveva la residenza estiva Francesco Petrarca, è a circa tre chilometri di distanza. Il Piccolomini stende proprio qui la sua opera principale, Della sfera del mondo (1539). Mentre, frattanto, la proprietà di Valsanzibio passa dai Contarini ai Barbarigo, che a fine Cinquecento costruiscono il primo nucleo della villa padronale. Poi, nel 1631, il Procuratore di San Marco Zuane Francesco Barbarigo vi si rifugia sfuggendo alla peste e adempiendo al voto che lo porta alla creazione del giardino, su progetto di Luigi Bernini. Mentre sarà il figlio Gregorio, cardinale e santo, a ispirarne la simbologia che lo permea e lo sostiene.
Così, via via che mi inoltro nei quindici ettari di parco, rincorrendo la dolce allucinazione dei frantonzoli che compaiono e scompaiono dal mio orizzonte, apprendo come vi siano tanti modi per visitare un luogo come questo. Il primo è il più brutale, di tipo contabile e ragionieristico: quanto costa la manutenzione di un giardino così raffinato e complesso? Quanti soldi sono necessari, tra potature, diserbi, concimazioni, rimpiazzi di alberi e arbusti, senza contare i lavori in muratura e i giochi d´acqua, con schizzi e zampilli che escono improvvisamente da fontane e scalinate? Un libretto di Fabio Pizzoni Ardemani, proprietario della villa, risponde indirettamente al mio quesito, ricordandomi che a Valsanzibio lavorano «a tempo pieno una decina di persone, tra operai-giardinieri, muratori, falegnami, idraulici ed elettricisti».
Esiste poi una seconda possibilità di immergersi in tale “locus amoenus”, ovvero il pieno abbandono alla bellezza: al succedersi di peschiere, vasche, fontane, siepi e alberi appartenenti alle specie più diverse. Ma già i nomi che contrassegnano le diverse tappe dell´itinerario, danno da pensare; come se l´acqua e il verde, senza contare la significativa presenza statuaria, siano disposte in un certo modo perché rispettano un certo disegno mentale: in fin dei conti l´accesso è garantito dal portale di Diana, dea della natura; l´isola dei conigli e il monumento del tempo sono disposti in parallelo a indicare rispettivamente l´idea di immanenza e trascendenza; le deliziose fontanelle delle lonze rimandano alla Divina Commedia dantesca; la presenza del labirinto (in bosso) si inscrive dentro una celebre tradizione ultrasecolare e infine si accede al piazzale della villa grazie alla scalea del sonetto, la quale a sua volta si affaccia sulla fontana della Rivelazione, meta finale della visita.
In villa mi attende il conte Fabio Pizzoni Ardemani, la cui famiglia è proprietaria della tenuta da tre generazioni, dopo il forzato abbandono dei Donà delle Rose nel 1929. Il conte Fabio è un uomo colto e affabile di ottantotto anni, che mi accoglie nella penombra di un salotto, offrendomi della limonata ghiacciata. Con serafica tranquillità mi dice che al momento sta lavorando alla stesura di tre volumi: il primo è una sorta di autobiografia intitolata L´ultimo signorino; il secondo è un libro sui cavalli, essendo l´ippica uno sport in cui da giovane ha primeggiato; il terzo, infine, è per l´appunto un saggio sulla simbologia del giardino di Valsanzibio.
Per evidenti ragioni egoistiche, lo spingo a invertire le priorità e a scrivere per prima l´ultima delle tre opere indicate. Ma per il momento dovrò aiutarmi, e non è affatto poco, con la letteratura esistente. Segnatamente con un ricco volume di Loris Fontana che ripercorre per filo e per segno l´intera vicenda del parco. A partire dal primo progetto, dipinto agli inizi del ´600, e in larga parte poi eseguito, che risponde innanzitutto a una precisa geometria d´insieme: «un rettangolo scompartito idealmente in moduli della stessa dimensione e di multipli e sottomultipli della stessa unità di superficie». Alle spalle dell´impianto matematico, però, ve n´è per l´appunto un altro di ordine simbolico che, a giudizio di Fontana, affonda nel neoplatonismo di Marsilio Ficino e nel tentativo di conciliare «la dottrina cristiana e gli ideali classici del mondo greco e latino». Cosa peraltro nient´affatto facile dopo il concilio di Trento, in cui si critica fortemente tale commistione.
In che modo risolverà la delicata questione un rigido uomo di chiesa come Gregorio Barbarigo, seguace integerrimo di Carlo Borromeo? Secondo Fontana, a Valsanzibio tutto inizia e tutto si conclude con il Bagno di Diana, che separando il fuori dal dentro, è il sito più importante del complesso. Qui, come altrove, il messaggio da trasmettere è restituito tanto dalle statue, quanto dai distici che le accompagnano: sovente più chiare le prime e più criptici i secondi. Come se entrambi dovessero dare conto dei diversi gradi della conoscenza.
Si comincia con la statua della dea, intenta nello scagliare una lancia, con relativa scritta: “al Monte al Colle al Pian Diana impera”. Impera Diana, certo, ma impera pure la famiglia che governa ormai l´intero territorio. E a ricordarcelo c´è un mascherone raffigurante il volto di un uomo dalla postura virile e aggressiva che potrebbe sì rappresentare un Barbarigo, famiglia di tradizioni guerriere, ma anche un Sileno, «maestro di sapienza e indovino». Doppio, del resto, è anche il re Mida presente negli archi minori, che da una parte compare nei panni felici di chi trasforma in oro tutto ciò che tocca, mentre dall´altra è triste: ha orecchie d´asino e sta vomitando il cibo diventato oro.
Siamo solo all´inizio dell´itinerario e la decifrazione simbolica ci ha già trascinato dentro un ginepraio. Neppure la statua di Apollo, che rappresenta il Sole, la luce, la logica armonia che sottende al disegno del giardino, ci soccorre più che tanto. Perché, alla base, compaiono le parole forse più enigmatiche di tutte: “Che non è il Sole il Sole se non è solo”.
Urge l´aiuto del conte Fabio e del suo saggio a venire. A meno che non ci si accontenti di una lettura, più che simbolica, meteorologica: in una giornata come questa, infatti, è lampante che il Sole è Sole, essendo indubitabilmente il solo a dominare.

https://www.valsanzibiogiardino.it/

Villa_Barbarigo_Pizzoni_Ardeman_2Parco-del-Castello-di-Grazzano-Visconti-Emilia-RomagnaVicenza2014_19_HDR2_low-w855h425@2x