di Giuseppe De Pietro

«Come farò? Se mi sento addormentato, a causa del jet lag», scherza Richard Gere appena arrivato a Roma per la conferenza stampa di presentazione del suo ultimo film L’incredibile vita di Norman, del registra israeliano Joseph Cedar (nelle sale dal 28 settembre). Il divo di Hollywood regala una delle sue migliori interpretazioni. Un ruolo eccentrico: quello di Norman Oppenheimer, un “faccendiere” ebreo di New York sempre sopra le righe. Un uomo solitario alla continua ricerca delle “giuste amicizie”, delle strategie migliori, di tutto ciò che gli possa cambiare la vita. Una nuova sfida per l’attore americano che potrebbe riservare delle gradite sorprese, come una prossima candidatura dall’Academy Awards e una statuetta d’oro che non ha ancora vinto. «L’Oscar mi servirebbe eccome perché mi spianerebbe la strada verso la realizzazione di un numero maggiore di film indipendenti. Quindi, perché no?», confessa sorridente.

A 68 anni non ha perso il suo innegabile fascino. Una lunga carriera nella quale ha interpreto anti-eroi inquieti e outsider, fino alla popolarità raggiunta negli anni ‘80 con American Gigolò. Oggi ritorna al cinema con un personaggio ficcante, opportunista ma anche altruista, lontano dalla sua natura. «La cosa che mi piace molto di questo film è che tutti mi dicono sempre: “Perché è così fastidioso? Perché insiste tanto?”. Credo che il mondo oggi sia basato sulle trattative, sui compromessi e sulle transazioni. Chiunque si domanda: se faccio qualcosa quale è la contropartita a mio vantaggio? Una volta la comunità aveva una visione più “comune” e sapeva concretizzare le proprie idee. Oggi non è più così. Abbiamo un Presidente degli Stati Uniti che vive completamente nel compromesso e che non è mosso da alcun senso morale. È lo specchio della nostra società. In questo senso può essere positivo per motivarci a essere differenti, per cambiare. Norman è entrambe gli elementi. È spinto al compromesso, ma ha un cuore sincero. Non manipola, non brucia le persone. Vorrebbe realizzare quello che ha promesso e rendere tutti felici».

Il suo ruolo, quello di Norman, distante rispetto a quelli dal lui interpretati in passato e che lo ha visto cambiato anche fisicamente. «Abbiamo modificato i tratti e ho suggerito al regista di farmi delle orecchie a sventola. La realtà è che Norman è un uomo ebreo tipicamente newyorkese che ho visto mille volte quando abitavo nella Grande Mela. L’ho cercato nella mia memoria. Ho lasciato che si muovesse liberamente, eliminando gli ostacoli e Norman si è materializzato, facilmente, da solo». Una commedia drammatica e intelligente che mostra un mondo diviso in due, tra chi sta al potere e chi no. Tra chi comanda e chi è succube. «In ogni cultura esiste un tipo come Norman. In ogni ambiente: dal giornalismo, all’economia, fino alla politica c’è sempre un nucleo centrale, un gruppo di “importanti” che hanno il controllo, il potere, e poi ci sono quelli ai margini che cercano uno spiraglio per farsi notare ed entrare nel giro che conta. Norman è un personaggio universale. Anche se è un imbroglione totale, non si sa dove vive, è finto, ma in fondo è un buono. Ha una grazia e una qualità direi “esistenziali”. Crede veramente in quello che promette».

L’attore, buddista e attivista per il Tibet, sa bene cosa significa mettersi in relazione con gli altri. Sempre in continuo movimento, come un pendolo che va su e giù, rivela il suo segreto per essere felice. «Questa altalena vale per tutti i momenti. Nulla rimane costante e fisso. Cambia il nostro umore. Ogni respiro è un giro di ruota. Vale per tutte le cose. Abbiamo difficoltà quando è tutto permanente e statico, quando l’esistenza è solo apparenza. E ciò diventa fonte di grande sofferenza. Ma quando, invece, riusciamo ad accettare, a capire che c’è questo continuo girare, questo andare su e giù, allora troviamo momenti di vera felicità».

Richard Gere a Roma per presentare il suo nuovo film “L’incredibile vita di Norman”