di Giuseppe De Pietro

A 25 anni, in Argentina, in una via vicino al centro di Buenos Aires, le mie foreste “tropicali” erano tre palme all’interno degli enormi vasi nei due “patios” della mia casa che crescevano superando il tetto di casa. Il mio timore di ragazzo era di trovarmi faccia a faccia con un’anaconda o un puma, ma nello stesso tempo la paura si mescolava, già allora, con il desiderio di poter, un giorno, trovarmi davvero in una foresta pluviale e scattare foto ai grandi predatori. Col tempo la fotografia è diventata la mia attività principale. La fauna, i paesaggi, la natura sono i miei soggetti preferiti: fin da giovane la contemplazione del bello e del sorprendente giovava ai miei occhi e alla mia anima. Realizzare un reportage in Madagascar abbia avuto su di me un effetto straordinario.

È un luogo dove l’evoluzione è ancora in atto, con animali e piante che non hanno parenti in nessun’altra parte del globo, luoghi selvaggi dove vigono leggi implacabili che rispondono a una sola esigenza: sopravvivere. Ma il Madagascar è anche terra di mercati e in ogni villaggio, anche il più piccolo, gli incontri con i venditori che arrivano all’alba col loro carico di frutta e verdure è un’esperienza da assaporare fino in fondo. Colori, odori, rumori, prendono il sopravvento e, con la macchina fotografica, comincio a vagare, senza un programma, attratto da luoghi antichi come il mondo ma sempre diversi da paese a paese. Ci si perde tra centinaia di cesti ripieni di manghi, papaye, concimi bio di pipistrelli, ma si vedono anche piccoli lenzuoli multiuso poggiati a terra, con una decina di banane vendute all’ombra di alberi da donne con il viso segnato dal sole e dal vento, felici se la tua attenzione ricade sul loro “tesoretto” perché conscio che in tutta la giornata il tuo sguardo potrebbe essere l’unico che avrà incrociato il suo. Mille modi di cucinare la carne, mille tipi di tessuti, mille varietà di frutta; in un mercato si comprendono e imparano le usanze locali. Uomini intenti a giocare con carte logorate dal sudore delle mani, donne che allattano i loro figli e intanto vendono mercanzie per chi deve proseguire nel viaggio e per chilometri non incontrerà più nulla fino alla prossima sosta. La gente, costretta avvolte nel silenzio nelle capanne isolate, si “vendica” di questa solitudine, e ha una voglia irrefrenabile di raccontare, ascoltare dialogare. È il fascino dei mercati di questo paese, e una grande esperienza per i viaggiatori, richiamati da un’umanità da scoprire con il suo paradiso selvaggio di contorno.

L’isola lunga 1570 chilometri da nord a sud,  estesa per quasi 600 chilometri quadrati, cioè il doppio dell’Italia, che sorge nell’oceano Indiano al largo delle coste meridionali dell’Africa, tagliata dal tropico del Capricorno. Sotto certi aspetti assomiglia all’Africa ma, in realtà, ne è molto diversa; ricorda l’Asia e i mille arcipelaghi del mare australe da cui provenivano i suoi primi lontani colonizzatori. Il Madagascar, più che un isola, un continente a sé, con una straordinaria varietà di aspetti e di attrattive, un ammaliante microcosmo di sensazioni insolite. I baobab sono alberi della vita così, torreggianti e surreali come sentinelle di un regno fantastico esistono? Certo che esistono, ma appunto non da noi, potrete ammirle in Madagascar. Scoprirete che forse la magia esiste davvero. Due volte più grande dell’Italia ed è un luogo virtuoso per la sua straordinaria biodiversità. Sicuramente il Madagascar, oltre a essere una delle isole più belle (e grandi) del mondo, è un luogo unico nel nostro pianeta. Si staccò infatti dalle coste africane 140 milioni di anni fa e prese ad andare alla deriva nell’Oceano Indiano, col suo carico di animali e piante. Un tesoro che, da allora, ha continuato a evolversi in una situazione di isolamento. Non stupisce quindi che le attrattive principali del Paese consistano in Parchi e Riserve Naturali, alcune delle quali dichiarate Patrimonio dell’Umanità dall’UNESCO, come lo straordinario Parco Tsingy de Bemaraha. Simile a una foresta di pietra, quest’area è un intrico di guglie e pinnacoli calcarei (chiamati appunto tsingy) alti centinaia di metri, separati da profondi canyon. Un ambiente marziano color dell’argento, dove la vita si aggrappa come una tela negli anfratti più impensabili. Raccontare questo paese non solo attraverso i suoi paesaggi mozzafiato, ma anche attraverso i volti delle donne e degli uomini incontrati durante il viaggio, i loro sorrisi, la loro gentilezza e disponibilità, il loro desiderio di comunicare in una lingua sconosciuta e, soprattutto, attraverso il brillare degli occhi dei bambini del centro Mitsiky (“sorriso” in malgascio) e lo sguardo fiero e amorevole delle loro mamme.
E’, comunque, un mondo a sé, con una cultura, una flora ed una fauna dalle caratteristiche uniche. Gli abitanti, i malgasci, costituiscono una popolazione molto eterogenea eppure abbastanza assimilata per via della lunga convivenza. Sulla dorsale montana prevalgono gli antichi primi immigrati, di ceppo polinesiano, indonesiano e malese. Essi portarono le loro colture, come il riso, ed i loro costumi. La capitale, Antananarivo situata a 1400 metri d’altezza, è, a differenza delle città africane, un centro permeato di storia. Lungo i pendii montuosi, lungo le strade che vi si arrampicano, sorgono le tipiche case dai tetti spioventi.I baobab, sono situati in una strada tutta è dedicata all’albero simbolo del Madagascar, la route nationale 8, lunga 200 km, che collega Morondava a Belo Sur Tsiribihina. La strada, in rossa terra battuta, che regala alcuni tra gli scorci più belli del Paese. Giganteschi baobab secolari fiancheggiano la via e sembrano unire il cielo alla terra. Sono piante sacre per la gente del posto, chiamate anche Alberi della Vita: radici, corteccia e foglie del baobab giocano infatti un ruolo fondamentale nella farmacopea tradizionale.

Nel regno animale, invece, i protagonisti sono i lemuri. Ne esistono diverse specie e ricordano delle scimmiette con lunga coda e muso da gatto. La maggior parte di loro ha abitudini diurne e vive sugli alberi. Qualcuno li paragona a bambini di 4 anni vestiti con un costume da panda. È possibile vederli nella Réserve Spéciale d’Ankarana e, in particolare, nel Parco Andasibe-Mantadia, una delle aree protette più visitate, 150 km a est della capitale Antananarivo. Si tratta di un Eden lussureggiante, con grandi alberi, liane e laghi coperti di ninfee. Qui vivono gli indri, la specie di lemure più grande del Paese, insieme all’avahi e al lemure dalla fronte rossa, mentre non si contano le specie di uccelli, camaleonti, anfibi e rettili. Chi non riesce a vedere i lemuri, potrà comunque portare a casa il ricordo della loro voce. Il lamento di questi animali, simile a un pianto, riempie ogni giorno la nebbia malinconica della foresta, all’alba e al tramonto.
Le spiagge, il mare, la natura selvaggia, come l’isola di Nosyi-Be. “scoperta”  dagli italiani già negli anni settanta, con le sue stupende spiagge, le sue attrezzature alberghiere, le piantagioni di ylang-ylang, arbusto che produce un’essenza oleosa utilizzata in profumeria. Siamo sulla costa nord occidentale del Madagascar, tra baie frastagliate e promontori, ultime propaggini attorno al massiccio di Tsaratanana, svettante coi suoi 2880 metri di altezza.
Lungo la costa orientale, invece, soggetta tutto l’anno all’influsso caldo umido dell’Oceano Indiano, dove la montagna che scende a picco si placa in un dedalo di lagune e canali, orlati da vegetazione lussureggiante. Le spiagge, via via che si scende verso il tropico del Capricorno, si fanno sempre più selvagge, spesso deserte e talvolta animate da villaggi di pescatori che affrontano il mare con le loro imbarcazioni.
Il Madagascar, è circondato da migliaia di chilometri di costa incontaminata, con lunghi tratti di barriera corallina, splendidi fondali e isole coperte di vegetazione lussureggiante. Comel’arcipelago di Nosy Be, al largo della costa occidentale, quello delle isole Radama o ancora le isole Mitsio, veri paradisi tropicali. Se gli amanti del turismo tradizionale andranno ad esempio a Nosy Iranja, due isole collegate fra loro da una striscia di sabbia che emerge durante la bassa marea, chi cerca luoghi deserti non rimarrà comunque deluso. Basterà affittare una barca o incamminarsi lungo la spiaggia. In breve, nient’altro che onde bianche da un mare turchese. Dopo aver rivolto un pensiero a Robinson Crusoe, potremo sederci ad ascoltare la voce dell’oceano in una conchiglia, guardando il lento passaggio di una piroga tra la sabbia e l’orizzonte.

Prendete il treno sulla linea Fianarantsoa-Côte Est, che collega il porto marittimo di Manakara, sulla costa sud-orientale del Paese, con la città di Fianarantsoa. Sono 12 ore e più di viaggio su convogli spartani e bisogna sapersi adattare, ma verrete ampiamente ripagati dai paesaggi e dall’atmosfera, soprattutto durante la sosta nelle stazioni. Alcuni villaggi, infatti, sono piuttosto isolati e l’arrivo del treno è un piccolo evento. Non patirete la fame: cercheranno di vendervi di tutto, dalla frutta alla carne arrostita alle bibite. 
Per gli amanti del mare: dedicate qualche giorno alla scoperta della Costa Vezo, il litorale sud-occidentale bagnato dal Canale di Mozambico. Tutta la zona è ricca di spiagge bellissime, in particolare tra Anakao, Tulear e Morombe. Visitate anche i pittoreschi villaggi di pescatori di Vezo.
Montagne granitiche e vulcaniche che delimitano altipiani coperti di fitta vegetazione o di campi coltivati a caffè o cotone. Costoni rocciosi scoscesi dove i fiumi si aprono varchi precipitando in scintillanti cascate, oppure dolci pendii con umidi terrazzi coltivati a riso e digradanti fino a cinture di laghi e paludi, separati dal mare da lingue sabbiose dove palme e mangrovie si affollano fino al mare e affondano le radici nell’acqua azzurra e verde smeraldo appena mossa da placide onde, al largo più minacciose ma poi stemperate dalle barriere coralline. Le spiagge e la giungla si interrompono a sud, verso le scogliere di Capo Sainte Marie. Al di là, sulla costa occidentale rivolta verso l’Africa, il paesaggio cambia. Le spiagge si allungano per molti chilometri verso la montagna sollevando dune in un scenario desertico.
Un ulteriore tocco di fascino è garantito dallo “zoma”, il grande mercato dove si può trovare di tutto, dai diversi e gustosi frutti tropicali ai tessuti variopinti, a monili ed oggetti in pietre semipreziose, alle sculture in legno totemiche con figure misteriose, magiche o di animali. Sotto, nella conca, si estende la città nuova, con edifici moderni e larghi viali, retaggio della colonizzazione francese e dello sviluppo verificatori dopo il conseguimento dell’indipendenza, nel 1960, seppure con alterne e contrastate fasi politiche. Vive in villaggi, pratica la pesca e la coltivazione di alberi da frutto tropicali che, peraltro, crescono abbondanti naturalmente. Nei mercatini si trovano grandi conchiglie, stoffe colorate, dipinti “naive” e sculture lignee cilindriche con figure intagliate nel fusto o sovrapposte.
Altre città, come Fianavantsoa, anch’essa in montagna, a 1100 metri d’altezza, meritano una visita. Qui troviamo una  cattedrale ispirata a modelli toscani, il palazzo reale in legno e l’altra chiesa di San Carlo. Anche la vegetazione ha aspetti sorprendenti: così la “palma del viaggiatore” con il suo ampio ventaglio di fronde, il cui nome deriva dal fatto di racchiudere, alla base dei rami riserve di limpida acqua a cui può attingere il viandante assetato; o la carnivora nepente, cespuglio fiorito dall’aspetto vagamente inquietante.
Con la fauna è assolutamente unica. Sono presenti cinghiali e le voraci volpi “ fossa”. Tra i rettili abbondano i camaleonti. I lemuri la fanno da padroni,  proscimmie simpaticissime dalle lunghe e gonfie code, spesso erette, che si trovano solo qui e sono divise in molte specie. I “catta” delle montagne agli “aye-aye” dei boschi dell’altopiano, ai “sifaka” dal bianco mantello, agili e veloci sugli alberi, mentre sul terreno si muovono danzando.

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