di Giuseppe De Pietro

70 mila gli incendi che, in quest’anno, stanno distruggendo l’Amazzonia: è a rischio il 20% della produzione di ossigeno del pianeta e il 10% della biodiversità mondiale.

Bugie di Bolsonaro, attuale Presidente del Brasile – “ho l’impressione che avrebbe potuto essere appiccato dalle ONG perché avevano chiesto del denaro. Quali erano le loro intenzioni? Per creare problemi al Brasile”.
Servirsi delle Organizzazioni non governative come capro espiatorio sta diventando un trend globale, dal presidente indiano Modi a Bolsonaro.L’Amazzonia è in fiamme, polmone verde del mondo. Oltre a perdere gli alberi e il verde, si rischia anche di vedere sensibilmente ridotta la produzione di ossigeno e la biodiversità mondiale in meno.
Immagine inquietanti arrivano dall’Amazonia, all’origine della nube gli immensi incendi nella foresta amazzonica, distanti centinaia e centinaia di chilometri dalla capitale. Scena apocalittica sia il risultato della presenza aria fredda e umida e ingenti quantità di fumo.

Jair Bolsonaro e gli agricoltori e allevatori brasiliani cercano di disboscare il più possibile le foreste pluviali. «Questo è il sintomo più acuto del via libera dato dal governo Bolsonaro al potente mondo dell’agrobusiness brasiliano». Da quando il governo è salito in carica la deforestazione ha ripreso battendo ogni record. Grandi aziende e piccoli produttori si sentono legittimati a disboscare e bruciare a più non posso. Nello stato del Parà, gli agricoltori hanno istituito il “giorno del fuoco”, imbaldanziti da un governo che li appoggia pienamente». In queste ore molti attivisti, politici e delle cause ambientali, stanno puntando il dito contro il presidente del Brasile Jair Bolsonaro, che nel momento più caldo della polemica ha accusato le ong di aver appiccato gli incendi come forma di ritorsione per il taglio dei finanziamenti governativi.
Bolsonaro ha in seguito corretto il tiro, ma non ha potuto evitare le accuse degli ambientalisti, che imputano alla sua amministrazione una politica volta a incoraggiare i disboscamenti, anche tramite la riduzione delle sanzioni nei confronti di società coinvolte in attività di deforestazione illegale.

Dal punto di vista areale a luglio sono scomparsi 1.345 kmq, un terzo in più rispetto al precedente record.
Dati fuori scala, che mostrano come si stia spingendo rapidamente la più grande foresta pluviale del mondo verso un punto di non ritorno entro il quale si rischia di compromette l’intero ecosistema. Condannando piante e animali alla scomparsa.

Per il mondo ecologista brasiliano, allevatori e agricoltori hanno colto la palla al balzo e non sapendo quanto a lungo durerà il governo di Jairo Bolsonaro, dichiaratamente climanegazionista e fin dal primo giorno promotore dell’espansione delle aree agricole in Amazzonia, stanno cercando di acquisire e disboscare foreste pluviali quanto più rapidamente possibile.
Terreni che spesso vengono sottratte a comunità indigene, violandone i diritti fondamentali. «Oggi i difensori della terra sono a rischio. Gli omicidi sono aumentati esponenzialmente». Pochi giorni fa a Brasilia per protestare contro l’ecocidio sono sfilate le “Margherite”, oltre 2000 donne indigene. Ma Bolsonaro ribadisce: nemmeno un centimetro di terra in più alle comunità indigene.

Due ex ministri dell’ambiente brasiliani, Jose Sarney Filho e Izabella Teixeira, hanno dichiarato che Bolsonaro ha rapidamente distrutto la reputazione conquistata dal Brasile come produttore alimentare responsabile e la posizione di leader nella lotta per il controllo alla deforestazione. Sarney Filho ha ribadito che i parlamentari UE, in particolare quelli dei grandi paesi agricoli come Francia e Italia, sono pronti ad opporsi alla ratifica dell’accordo concluso il mese scorso con Brasile, Argentina, Uruguay e Paraguay. Il presidente francese Emmanuel Macron aveva già avvertito a giugno che non avrebbe firmato il patto UE-Mercosur se Bolsonaro avesse ritirato il Brasile dall’accordo sul clima di Parigi.
Anche la società civile brasiliana non rimane a guardare. «Negli ultimi mesi si sta registrando un grande fermento del mondo ambientalista e dei grandi movimenti sociali e dei lavoratori brasiliani», continua Paulo Lima. «Fino a poco tempo fa i movimenti sociali erano disinteressati alle tematiche climatiche. Ora però la situazione sta cambiando e a settembre in Brasile potrebbe tenersi uno dei più grandi Fridays for Future di sempre». Un aiuto potrebbe anche giungere da Greta, che ha previsto una tappa brasiliana del suo viaggio americano. La speranza per molti è che il governo Bolsonaro cada al più presto. Non c’è nulla di più pericoloso per il pianeta oggi.

Allarmate, Norvegia e Germania hanno congelato 65 milioni destinati al fondo brasiliano contro la deforestazione. «L’Amazzonia è nostra, non vostra», ha risposto Bolsonaro, riandando a un suo leitmotiv tra i più consueti, e cioè che l’Amazzonia rischi di venire «internazionalizzata», e che il «primo mondo» se ne spartisca ricchezze e sovranità. «La Norvegia, che uccide le balene, dia quei soldi a Merkel per riforestare la Germania». E attribuisce colpe «che non so documentare, sono sensazioni» alle Ong ambientaliste. «Col mio governo hanno perso soldi, e vogliono attirare critiche sul Brasile».

Nei primi otto mesi del 2019 gli incendi in tutto il Brasile sono stati 71.497, in aumento dell’83% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. L’area coperta dalla foresta amazzonica, da gennaio a oggi, è stata colpita da 39.033 roghi, un numero che supera di gran lunga quello registrato nel corso della secchissima estate 2016 (quando gli incendi erano stati 36.333).
Per la maggior parte dei nove stati appartenenti alla macro-regione amazzonica, quello in corso è l’anno con più incendi dal 2015 a oggi, con il nefasto record del Mato Grosso che brucia il 260% in più rispetto al 2018. In generale, comunque, tra i 5 stati più colpiti, ben 4 ospitano una porzione di foresta e Amazonas, lo stato più esteso del Brasile, ha dichiarato lo stato di emergenza.