di Melina Gualtieri

Amano la natura, usano le erbe per guarire, un po’ per necessità e un po’ per scelta, amano la meditazione e la magia curativa della natura. Forse la necessità di una nuova spiritualità?

“La wicca è amore per la natura, è un modo di vivere. Non lo capisci finché non ci sei dentro”. A parlare è Adela Lopez, una moderna strega di 34 anni di Buenos Aires. Siamo seduti al tavolo della cucina e dietro di lei si intravede un mobile basso pieno di oggetti e candele. Chiunque potrebbe scambiarli per strani soprammobili, ma in realtà si tratta di un altare, provvisto delle cose più sacre che ci siano per uno wiccan. Al centro dello spazio c’è un grande pentacolo, una stella a cinque punte iscritta in un cerchio, con una candela accesa per ogni estremità. Intorno, i simboli dei quattro elementi (aria, acqua, terra e fuoco), conchiglie, tarocchi, un coltello di argilla e una ciotolina piena di sale. Nell’angolo un grande volume viola pieno di segnalibri colorati. E’ il suo Libro delle ombre.

Adela ha iniziato a conoscere il mondo della wicca dieci anni fa, incuriosita da “Il vangelo delle streghe” di Charles G. Leland. E’ un libricino scritto nel 1899 che cerca di spiegare le tradizioni della stregoneria toscana: incantesimi, evocazioni, preghiere e leggende dell’“antica religione” pagana, votata al culto della dea Diana e sua figlia Aradia. Oggi è uno dei testi fondamentali della wicca, la moderna stregoneria. “Ognuno ha il suo pantheon – spiega Esther – io seguo più che altro la corrente del druidismo. E’ una tradizione celtica, nordica, incentrata sulla meditazione e sulla magia verde, cioè sui metodi di cura derivati dalla natura”. Adela è una praticante solitaria e ha fatto da sola il proprio rito d’iniziazione alla stregoneria, prendendo spunto da diversi libri. “Ognuno può farlo come vuole, l’importante è dichiarare il proprio credo, come in qualsiasi religione”. Nelle Marche, dove vive, non ci sono congreghe da frequentare. “E comunque – spiega – non è detto che ci si trovi bene con altri wiccan, che hanno modi di fare diversi dai nostri”.

Adela durante l’anno celebra otto sabba, le tipiche feste wiccan, e ogni mese la luna piena. La sua festa preferita è Samhain, la notte del 31 ottobre. Nulla a che vedere con “dolcetto o scherzetto”: Samhain, il capodanno celtico, celebra la morte dell’anno ed è un momento dedicato alla meditazione e alla riflessione sui mesi precedenti. La festa complementare è Beltaine, il primo maggio, che festeggia lo splendore della natura e la fertilità. “Una volta – racconta Adela – ho sentito una ragazza dire ‘sono una wiccan non praticante’. Ma non ha senso seguire una religione se diventa un peso. Dev’essere bello celebrare i riti e le feste”.

Un’altra importante pratica wiccan è la divinazione. Adela utilizza i tarocchi o le rune, cioè le lettere dell’alfabeto celtico, ognuna delle quali ha un significato diverso. Le profezie runiche sono una tradizione molto antica e la prima prova del loro utilizzo viene da Tacito: già nel 98 d.C. scriveva che i Germani “tagliano un ramo d’un albero da frutta in piccoli pezzetti, e li segnano con certi segni” per ricavarne delle premonizioni. Nel corso dei secoli le rune venivano incise sugli elmi o sulle punte delle frecce per renderle più efficaci. Le rune di Adela sono di argilla e le ha modellate lei stessa. “E’ sempre meglio fare i propri strumenti da sé, così hanno più energia”.

“I miei genitori hanno saputo che sono wiccan da un po’ di tempo. Mia madre è molto cattolica e all’inizio non era contenta, ma ora le ho spiegato bene, ha capito e lo accetta”. Da qualche mese Adela vive con il suo fidanzato e ha lasciato la casa dei suoi: “Vivendo con loro era diverso, non si hanno gli stessi spazi”. La wicca, secondo lei, è ancora vittima di tanti pregiudizi, come qualsiasi religione tradizionale che si allontana dai pilastri monoteistici. Nel terzo millennio, il paganesimo continua a essere un insulto, uno stigma e un’erbaccia da estirpare. “Una volta, stando a Piazza Navona mi hanno detto che sembravo una pagana – racconta – solo perché avevo un piercing”.