Di Silvia De Pietro

Nell’Italia della bistecca e della mortadella, di capitoni in umido e bollito, tortellini e pasta con le sarde, sta cambiando la propria alimentazione. Da nicchia, i vegetariani stanno man mano diventando una fetta importante della popolazione italiana: secondo l’AVI (Associazione Vegetariana Italiana), coloro che hanno escluso carne e pesce dalla dieta sono circa il 10% dei cittadini, e l’Italia è “il secondo stato vegetariano dopo l’India”. Ma anche stando alle cifre molto meno ottimistiche dell’Eurispes, sono comunque più del 3%, pari ai cittadini di Milano e Firenze messi insieme. A questo nuovo tipo di alimentazione è dedicato, da alcuni anni, l’intero mese di ottobre: 31 giorni di incontri e iniziative in tutto il mondo, Italia compresa, per incoraggiare un’alimentazione all’insegna di cereali, verdura e legumi.  

 
Ma torniamo alle percentuali. A cosa si deve tanto successo? “E’ tutta colpa nostra!”. “Abbiamo lavorato molto per informare le persone sulla scelta vegetariana, e grazie a Internet, negli ultimi anni siamo riusciti a far arrivare le informazioni a un gran numero di persone”. Negli ultimi decenni, però, è tutto il Paese che si è trasformato: sono aumentate le associazioni animaliste, e l’universo dell’ecologismo e del pacifismo si è orientato verso l’alimentazione vegetariana e, in certi casi, vegana (quella cioè che esclude ogni cibo di origine animale). “Da parte degli italiani c’è stata una forte presa di coscienza”, su cui, ultimamente, ha pesato anche la crisi: “Quando le cose non vanno bene si inizia a farsi delle domande, le difficoltà, anche economiche, sono un momento di crescita”. Secondo l’Eurispes, le motivazioni della scelta vegetariana o vegana riguardano l’attenzione per la salute (43,2% dei casi), il rispetto per gli animali, contro il loro sfruttamento da parte dell’uomo (29,5%), e la tutela dell’ambiente (4,5%).  
 
I servizi per chi ha escluso carne e pesce dalla dieta negli anni sono aumentati, anche se molto c’è ancora da fare. “Trent’anni fa era difficile andare controcorrente. Si faticava a trovare prodotti ad hoc, come il formaggio con caglio vegetale, o mense e ristoranti con piatti vegetariani”. Le cose sono poi andate migliorando, soprattutto per quanto riguarda aziende e ristoranti: “Il settore privato si sta evolvendo molto. Lavoro con molte aziende di ristorazione, cercando di trovare soluzioni perché il loro menù accontenti vegetariani e non”.
 
Le cose sono più complicate nella ristorazione pubblica: “Le mense di scuole, ospedali, uffici e imprese raramente sono disponibili a offrire pasti per i vegetariani, anche se nella nostra tradizione mediterranea ci sarebbero molte pietanze adatte ai vegetariani. All’estero, al contrario, dove c’è una tradizione culinaria diversa, si sono messi a punto dei menù ad hoc”. In molti casi, basterebbero pochi semplici accorgimenti: “Pensiamo al risotto, per esempio: se si prepara con il brodo vegetale piuttosto che con quello di carne, diventa un piatto per tutti”. E aiuterebbe anche inserire l’obbligo di pasti vegetariani nei capitolati, “così come accade per i piatti senza carne di maiale preparati per i cittadini musulmani. Perché, se garantiamo pasti diversi per motivi religiosi, non lo facciamo per motivi etici?”.  
 
L’AVI aveva anche in cantiere una petizione per sancire, tramite una legge dello Stato, il diritto ai pasti vegetariani: “Ma dopo la raccolta firme, la cosa si è arenata tantissime volte. Forse l’argomento tocca grandi interessi, che erano contrari a una norma simile”. Al di là della dieta, AVI sta anche lavorando per creare una mostra museo sul vegetarianesimo e salvaguardare le antiche varietà di piante e semi: “Stiamo mettendo a punto un progetto chiamato Veg Valley, che si propone di sostenere quelle piccole aziende agricole decise a riscoprire le sementi dimenticate”, coltivando la terra con metodo biodinamico e zero concimi animali.