Giuseppe De Pietro

L’amore di Anne tra arte e ambiente. “Mi sono immersa nel mare e non ho più ritrovato i fondali della mia infanzia”.


Abbiamo intervistato Anne de Carbuccia, artista ambientalista e film-maker che nei suoi viaggi intorno al mondo ha documentato le condizioni di mari e oceani, sempre più soffocati dall’incuranza dell’uomo.

In Italia sono 27 le aree marine protette a vario titolo. Aree in cui le attività dell’uomo, come la pesca e il turismo, dovrebbero essere, se non proibite, almeno limitate, per consentire la sopravvivenza e la riproduzione dei pesci e per garantire la conservazione della biodiversità marina. Purtroppo, sono nell’1,67% dei casi si tratta di aree che implementano in modo efficace i propri programmi di gestione, mentre nella maggior parte dei casi si tratta di paperback, ossia aree marine che non sono gestite adeguatamente.

Abbiamo voluto sentire una voce “diversa”, quella di una donna impegnata nella difesa del mare che attraverso le sue opere artistiche documenta le condizioni ambientali del nostro pianeta. Le opere di Anne de Carbuccia vogliono dare una voce al pianeta blu con l’intento di aumentare la consapevolezza sull’emergenza climatica e sulle minacce al pianeta dovute al comportamento umano.
Fondatrice dell’associazione One Planet One Future e della Time Shrine Foundation negli USA, Anne de Carbuccia ha avuto anche la soddisfazione di poter presentare alla 75a Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia il suo cortometraggio One Ocean, disponibile in italiano e in inglese, mentre attualmente sta girando un documentario sulle sfide dell’Antropocene che uscirà quest’anno.


GDP In quest’ultima epoca abbiamo letteralmente “soffocato” i nostri mari e oceani, secondo te è ancora possibile salvarli?
AC Assolutamente. Abbiamo ancora tempo per cambiare direzione. Questo è il messaggio più importante che possiamo dare oggi, dando l’esempio tutti noi, dall’artista allo scienziato, dallo chef al professore. In questo momento storico ciascuno di noi fa la differenza, facciamo tutti parte di questa storia e della storia.
GDP Come si può avere un ruolo attivo nella difesa del pianeta?
AC Possiamo cominciare prendendo coscienza che il problema esiste, è grave e va risolto entro il prossimo decennio. Poi ciascuno può adottare comportamenti responsabili per il nostro pianeta nella vita quotidiana, in funzione della propria età e della propria attività. Le soluzioni iniziano da casa nostra, dal nostro quartiere, dalla nostra scuola, dalla nostra città. Il pianeta si può salvare da casa propria.

GDP “Il problema esiste, è grave e va risolto entro il prossimo decennio”.
AC Le nostre azioni quotidiane hanno un conseguenza sull’altra parte del pianeta perché tutto è interconnesso. Dopo l’azione individuale viene l’azione da cittadino, siamo noi che decidiamo chi ci rappresenta. Uno dei modi più rapidi per aiutare il nostro pianeta è di votare per chi lo vuole proteggere veramente.
GDP Quanto peso possono avere le nuove generazioni?
AC Ne hanno già tanto! Basta vedere l’importante presa di coscienza che con la loro passione hanno generato negli ultimi anni. Attraverso il mio progetto educativo vedo che tanti giovani si preoccupano per il loro fu turo in modo diverso dalla nostra generazione, hanno già sulle spalle delle preoccupazioni da adulti. A 15 anni non ho mai pensato che avrei potuto perdere la mia spiaggia preferita, che da grande avrei vissuto in una versione degradata del pianeta. Questo può creare tristezza e genera pressione, ma crea anche azione, voglia di cambiamento, iniziative. Per trovare soluzioni resilienti per la nostra sopravvivenza dovremo rivoluzionare la nostra prospettiva e i giovani ne sono molto più capaci di noi.

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GDP definito resilienti anche alcune barriere coralline incontrate in uno dei tuoi viaggi. Perché?
AC Ho avuto la fortuna di vivere quell’esperienza a Raja Ampat, nel triangolo dei coralli in Indonesia. È stato un dono o un rito di passaggio che mi ha offerto l’Oceano forse per rendermi più forte, forse per ricordarmi come vuole essere, come deve essere. Mi ha aiutato a sentire quello che sapevo già: è tutto connesso e interconnesso. Laggiù il cuore del pianeta batte più forte, la vita inizia lì. Oltre a viverne la bellezza inimmaginabile provi l’esperienza vera e sentita, che l’Oceano ci fa bene, ci cura, ci dona. È il nostro più grande alleato. Non ci sarebbe vita sul nostro pianeta senza di lui

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GDP Hai trovato anche veri e propri fossili di plastica, la cosiddetta “archeologia di spazzatura”. È così grave gravi la condizione di mari e oceani?
AC I fossili di plastica, quelli geologici, sono nei fondali più profondi, negli abissi, dove l’uomo non arriva. Quello che ho visto sono le barriere coralline, i fondali più accessibili, le spiagge nel mondo dove la plastica è diventata più comune di una stella marina o di una conchiglia; dove la plastica e la medusa si confondono.
GDP La plastica è diventata più comune di una stella marina o di una conchiglia?
Il nostro Oceano è diventato l’Oceano dell’Antropocene, come gli studiosi chiamano la nostra era geologica, nella quale l’uomo è una forza geologica. Oggi la plastica è una parte integrale di tutti i nostri mari, un materiale formidabile creato da noi per durare per sempre. Usato da noi senza nessuna visione a lungo termine. Oggi, sia che viviamo vicino o lontano del mare, ingeriamo l’equivalente di una carta di credito di plastica alla settimana. Anche noi stiamo diventando l’uomo dell’Antropocene. E particelle di plastica sono già state trovate nella placenta delle future mamme. Oggi si può dire che siamo diventati una forza geologica negativa.
GDP Cosa intendi esattamente con il concetto di “arte di resilienza”?
AC Sono due parole positive che messe insieme si rafforzano a vicenda. Sono anche dei concetti per farti crescere, evolvere. L’arte ha quel potere. Oggi ha anche la responsabilità di creare consapevolezza, aiutarci a cambiare e soprattutto a migliorare. Come siamo diventati una forza geologica negativa possiamo diventare una forza positiva. Dipende solo da noi e dalle nostre scelte.
GDP Quando hai deciso di documentare lo stato del pianeta blu attraverso l’arte?
Nel 2013, tornando nella mia isola, la Corsica. Non avevo fatto immersioni lì da anni e non ritrovare i fondali della mia infanzia mi ha molto colpito. Sembrava un mare dimezzato, triste, senza quel flusso energetico che mi rendeva così libera e allegra da bambina. È il mare che mi ha fatto capire la gravità della situazione per tutti noi che viviamo su questo meraviglioso pianeta. Dopo quell’esperienza non mi sono più fermata. Documentare in modo artistico quello che abbiamo, quello che stiamo per perdere e quello che abbiamo già perso è diventata la mia missione

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Insieme all’artista ambientalista Anne de Carbuccia, che ci racconta il nostro pianeta attraverso la fotografia, abbiamo parlato del valore dell’arte come linguaggio universale per sensibilizzare rispetto al cambiamento climatico e alla necessità di agire con responsabilità per il futuro.
Anne de Carbuccia è un’artista franco-americana che viaggia in tutto il mondo in alcuni dei luoghi più remoti della terra per documentare e preservare la memoria di siti, animali e culture a rischio d’estinzione. Con fotografia, testi, filmati, graffiti art e installazioni racconta storie e vuole indurre le persone a cambiare i comportamenti che stanno contribuendo all’emergenza climatica e al degrado dell’ambiente.
Il suo progetto One Planet, One Future, ha anche un importante valore educativo. Basato sulla convinzione che l’educazione sia fondamentale per creare un futuro sostenibile, intende sviluppare un percorso didattico assieme agli educatori di tutti i gradi accademici, dalle elementari alle università. Visitando la mostra fotografica a Milano, gli studenti vengono condotti in un percorso multisensoriale suddiviso in quattro aree tematiche: Acqua, Animali a rischio, Habitat in pericolo e Culture distrutte, dove vengono affrontate le principali criticità di ogni tema. Oltre alla mostra di Milano, la Fondazione Time Shrine dispone anche di una permanente a NY, nello storico Westbeth Arts Center.

L’artista che ama il pianeta più di ogni altra cosa. Ogni sua location è un set a cielo aperto, dalle vette dell’Himalaya agli abissi dell’Oceano Indiano, dal cimitero dei rinoceronti in Kenya alle piramidi d’immondizia della terra dei fuochi di Afragola.
Ogni sua installazione è una storia da raccontare. Sei anni di ricerca in giro per il mondo, un programma di assimilazione del territorio in pericolo e una missione: salvare il pianeta. Fortemente evocativo il titolo della mostra One, a che sta per One Planet, One Future. Con il quale Anne de Carbuccia ha celebrato con un migliaio d’invitati il finissage al Westbeth Center for the Arts. Ha affittato lo studio che una volta era di Lou Reed. Prima tappa di una mostra itinerante che da Miami sbarcherà anche a Napoli. Visto che proprio da qui davanti alle piramidi d’immondizia è maturata la sua consapevolezza, quella di mettere la sua arte al servizio del pianeta.
Mozzafiato gli effetti speciali della mostra: uno specchio d’acqua verticale per ricordare quando l’uragano Sandy aveva sommerso lo spazio espositivo sotto una cascata d’acqua. E all’ombra di un filare di alberi “piantati” apposta per ricordare che foreste e mare (e non solo) sono in pericolo. E che la riforestazione urbana è una strada percorribile.
La mise en scene di elementi forti come il teschio (la vanitas) e la clessidra, simbolo del tempo in fuga diventano il filo conduttore di ogni foto/tableaux di 20 metri. Su un mare di sale di Laddakh posa pietre sacre su un osso di balena con la stessa ritualità con la quale entrerebbe in un tempio in punta di piedi. In Laos è attirata da fossili di piante che sembrano sculture, all’isola Grenadine denuncia l’erosione della barriera corallina. Passa come una meteora dai ghiacciai dell’Antartide alle dune di sabbia rossa del Rub’ Al-Khali.

Anne, bellezza statuaria e occhio blu chiaro che guarda lontano, ha la tempra dura del corso, è cresciuta a Parigi e ha studiato a New York alla Columbia University storia dell’arte e antropologia.


Poi è ritornata a Parigi e ha lavorato per Drouot, tra le più antiche case d’aste del mondo. Da sempre appassionata di culture primitive, adesso vive a Milano, marito italiano e tre figli, e in zona Lambrate ha trasformato un capannone industriale nel suo opificio. Non si risparmia nessuna fatica fisica: a Lampedusa il ciclone colpisce il suo obbiettivo e ci sono voluti quattro mesi di allenamento per arrampicarsi fino a 5600 metri per fotografare l’Everest ferito a morte. Disseminato di “scheletri” di bombole d’ossigeno, buttate lì da escursionisti senza scrupoli, praticamente una discarica a cielo aperto.
“Ho lavorato con tante specie animali pericolose. Ma fra tutte la più pericolosa è l’uomo. Il nostro pianeta lo abbiamo solo avuto in prestito dai nostri padri e lo dobbiamo consegnare alle future generazioni in condizioni accettabili. Perché alla fine capisci che le cose che davi per scontato, adesso contano davvero”, chiosa Anne che ha appena celebrato il Thank’s giving in una riserva degli indiani d’America, ormai ridotti a un ghetto senza identità. Dove gli stanno costruendo sotto il naso un pipeline mostruoso. E ha dato voce agli ambientalisti che si fanno chiamare water protectors not protestors. Arrivata in Italia è corsa a fotografare il Po fuori dagli argini con le capuzzelle degli alberi che uscivano dall’acqua.

L’artista filantropa adesso è invitata nelle università e con l’impegno incessante della sua Fondazione Time Shrine consegna il suo messaggio al mondo. Il suo mantra.