di Roberto Callà

Un animale si prende per affetto, ma poi ti insegna a vedere il mondo con occhi diversi ho sperimentato la forza di questo legame personalmente.

Ogni cane che entra in casa diventa presto uno di famiglia, divide con noi ogni momento libero. Da noi, da qualche tempo ormai c’è Sirio, un amico a quattro zampe, un pastore maremmano di 6 anni che abbiamo adottato 2 anni fa, ha cominciato a parlarmi. Lo fa in una lingua tutta sua, con tanti versetti e piccoli ululati. È il suo modo per dirmi che è contento di uscire o, al contrario, per convincermi a restare a casa, perché sto preparando la sua pappa. Accompagna questi “discorsi” col linguaggio degli occhi e delle zampate ben assestate se non le sto prestando attenzione. A volte, quando siamo fuori per una passeggiata lungo il lago, saltella avanti felice ma si gira a controllare per vedere dove sono e, se sto guardando il cellulare, mi tira la giacca con i denti per farmi capire che non è quello il momento giusto perché c’è lui; altre volte, quando siamo a casa, si accuccia sul suo cuscino e mi guarda di sottecchi, sempre all’erta per cercare di afferrare ogni mio movimento e stato d’animo.

Abbiamo instaurato un rapporto così speciale che basta davvero poco per capirsi. E non sono il solo. La convivenza con il mio cane, di pelo bianchissimo «vissuto da cuccio ad Antibes». Un legame forte, unico, dove cane e filosofo ci specchiano l’uno nell’altro. E dove il mondo animale diventa insegnamento di vita. «Il detto popolare “il cane è il miglior amico dell’uomo” non è così stupido come sembra perché tra cane e uomo c’è stata, e c’è, una capacità di camminare insieme, di co-evolversi; e se ci si apre a questa relazione e ci si lascia guidare dal cane, si possono imparare molte cose: prima di tutto che il cane è il punto di vista su un’altra realtà».

Ma cosa si prova ad avere un cane? “Ci sono due modi di stare con un animale”. «Quello passivo, mi prendo un cane per compagnia ma poi mi disinteresso di chi è e di cosa ha bisogno; e poi c’è quello che considera l’incontro con un cane come una specie di grande teoria dell’innesto con la diversità. In pratica assistiamo alla nascita di una terza persona che è una specie di umano-cane o di cane-umano».

Se ci penso però, il più delle volte un cane si prende per affetto. E quello che riesce a darti è impagabile: adorazione, lealtà, coccole. Ma un cane pretende anche. Ti insegna a prestare attenzione, a rispettarlo nei suoi bisogni, a darti altre priorità. E alla fine ti rendi conto che a poco a poco ti ha davvero cambiato la vita e ti ha insegnato altri modi di esistere. «Al di là delle frasi retoriche che di solito ci vengono raccontate – “il cane mangia, dorme, lo porti a spasso e sei a posto”- non è che appena prendi un cane sei immediatamente in grado di occupartene.

È complicatissimo sottostare alle esigenze di un altro individuo con cui non c’è una comunicazione linguistica. È una specie di grande palestra di cosa significa avere un neonato, dove tutto è sbilanciato sulla cura: significa portarlo fuori anche quando non ne hai voglia e magari piove, vuol dire stare appresso ai suoi malanni e alle sue necessità alimentari. È un rapporto che mette in piazza tutta una serie di complicazioni, emozioni e capacità di comprensione del mondo. Ma che poi ti ripaga con una grande educazione alla diversità, alla natura, a comunicare col corpo e non solo con le parole».

Io, per esempio, non avrei mai immaginato di scandire la giornata coi tempi di Sirio: la sveglia alle 6,30, l’uscita col freddo e le scarpe da trekking per passeggiare talvolta anche in mezzo al fango o nei prati bagnati dalla rugiada fino al Lago di Bracciano. La tuta che si sporca e “chissenefrega”. Le magliette bucate dai suoi denti. O di organizzare le vacanze in base alle sue esigenze. Talvolta ho voluto farmi fotografare da mia moglie Roberta, col mio Sirio, amico inseparabile. Nella foto siamo uno abbracciato all’altro e le nostre teste, così selvagge, sembrano una cosa sola. Anche io da quando ho Sirio la considero quasi come una mia appendice: dove vado io, viene lui. Dove vuole andare lui, io lo seguo. Qualcuno dice che ci assomigliamo. La verità è che ci siamo adattati l’uno all’altra negli orari, nei bisogni, nel modo di stare insieme.

Sirio mi guarda e nei suoi occhi leggo semplicità «Il cane è una bestia filosofica».  La comunicazione e il legame tra noi non è inquinato da pregiudizi e complicazioni. Le regole sono chiare: se tu mi dai retta io ci sono. Se mi dici cosa devo fare lo faccio. Lui impara, ma io devo fare uno sforzo: non posso pretendere e basta, devo abbassarmi a capire cosa mi sta comunicando e cosa, in quel momento, lo porta ad avere un dato comportamento.  «Rappresenta tutta una serie di cose che la filosofia, la religione, la meditazione, la cultura del benessere hanno cercato: il concetto di qui e ora, la presenza a se stessi, la capacità di stare in un luogo intensamente, la necessità di ascoltare il proprio corpo, il fatto che c’è un sistema di priorità che può essere molto diverso da un mondo fatto soltanto dagli umani e che esistono altri modi per stare al mondo».  

Quella che chiamano “pet therapy” e su cui ero un po’ scettico, ho scoperto che funziona: il mio cane ha un effetto calmante, è capace di mettermi di buon umore, di aiutarmi a sgombrare la mente da pensieri affannosi. «Mi aiuta a stare coi piedi per terra e non con la testa fra le nuvole» Saranno le passeggiate continue tre volte al giorno, sarà che mentre stai facendo qualcosa a volte ti costringe a lasciare tutto per darle retta. Sarà per il suo vivere intensamente ogni attimo, per l’immersione in qualcosa che ha un legame con la natura selvaggia. Oppure mi sveglia scodinzolante al mattino quando ancora sono a letto per dirmi: «Alzati Roberto oggi è un giorno bellissimo. Andiamo al Lago?».